Teatro

Sky is (not) the limit: Federico Buffa riempie i teatri

Sky is (not) the limit: Federico Buffa riempie i teatri

Le storie sono il leit-motiv della sua carriera: ha iniziato come avvocato, ha fatto il giornalista sportivo e ora narra le grandi storie dello sport, tra Sky e teatro, dove racconta le Olimpiadi di Berlino in pieno nazismo. Aldo Grasso l'ha definito "un narratore straordinario". Risultato? A casa o in sala, ti tiene incollato alla sedia.

I fanatici del basket lo venerano come la “voce” dell’NBA e delle telecronache dell’Olimpia Milano. Poi è approdato al calcio, seguendo in particolare il Milan, sempre con competenza. Federico Buffa, classe 1959, da qualche tempo è il volto più amato di Sky: utilizza sport e imprese sportive come pretesto per raccontare la storia sociale, economica e politica di un determinato periodo storico, un po’ come in Forrest Gump. Ora Buffa sta facendo il tutto esaurito nei teatri con “Le Olimpiadi del ‘36”, ma promette che presto racconterà altro, uscendo dal tema sportivo…insomma, il meglio deve ancora venire.

Come prepara una sua storia? Che lavoro c’è con gli autori?
Cerchiamo il maggior numero di reperti possibili. Nel caso di Muhammad Ali, l’ultima e la più difficile che ho fatto, l’ho preparata da solo: undici libri, quattrocento referenze, di cui ne puoi usare solo cento per questioni di spazio. Poi la produzione te ne toglie venti. Quindi hai a disposizione ottanta referenze e devi scegliere cosa è importante, pensare a cosa può essere più rilevante. A volte lanci letteralmente la moneta. In altre storie, dove lavoro con gli autori, ognuno porta il suo contributo, mettiamo tutto insieme e io scelgo cosa è più adatto. Ci vogliono anche tre mesi.

Anche per “Le Olimpiadi del’36”?
Ci ho messo un po’ meno, ma è comunque un work in progress: io continuo a leggere, a cercare e qualche volta inserisco cose nuove, a seconda anche dell’attualità o del pubblico in sala. Faccio un esempio: le Olimpiadi del ’36 furono il paradigma di tutte quelle che vennero in seguito.  Se vedo che il pubblico è molto giovane – e capita – allora aggiungo qualcosa che spieghi in un modo per loro comprensibile. Tipo che spiego dove si allena la Nazionale Italiana di Calcio e racconto che Coverciano è stato costruito da Ridolfi, capo delegazione italiana di Berlino ’36. Cerco, insomma, di dare qualcosa che sia fruibile.

E come si è preparato alla prova teatro?
Caterina Spadaro, co-regista dello spettacolo, è stata la mia coach e la prima cosa che mi ha detto è stata: “Dimenticati di aver fatto qualcosa di lontanamente simile al teatro solo perché hai scimmiottato qualcosa in televisione. Quello che hai fatto in TV ti fa più male che bene rispetto alla situazione teatrale”. Quindi ho iniziato un corso, diciamo accelerato, per imparare almeno come si prende la luce in teatro, come si prende una pausa – che è ben diversa a livello di respiri rispetto a come si prende in televisione. Perché anche l’ultimo spettatore in alto, lontano e distante dal palco deve poter sentire e vedere certe sfumature anche del volto. Perché vai in teatri piccoli, ma vai anche in teatri enormi, come il Celebrazioni di Bologna, dove la distanza dal palco per le ultime file è di oltre cento metri.

Le Olimpiadi del ’36. Se non fosse stato per quel guastafeste di Owens sarebbe stato il trionfo assoluto di Speer e della Riefensthal. Da allora i Giochi diventano sempre meno giochi e sempre meno olimpici. Oggi a che punto siamo?
Secondo me sono state comunque il trionfo dei tedeschi. Poi, certo, noi abbiamo piacere a raccontare Jessy Owens. Ma se si reincarnasse oggi un tedesco di allora direbbe: “Ma voi che Olimpiadi avete visto?”. I tedeschi quelle Olimpiadi le hanno stra-dominate: hanno vinto 88 medaglie, sono passati da 4 ori a 33. Poi, certo, erano tutti dopatissimi. Ma i loro giornali d’avanguardia dicevano: “Beh, voi togliete i vostri 18 neri e facciamo bianchi contro bianchi, poi vediamo. E’ vergognoso che utilizziate la gente che utilizzate nelle campagne a tirar su cotone”. E da allora non è cambiato niente, a distanza di ottant’anni: la spettacolarizzazione dell’evento inizia lì, non ci saranno mai più le Olimpiadi vere, nel vero senso della parola.

Sky is (not) the limit: gli spettatori che arrivano a teatro sono abbonati Sky in cerca di upgrade culturale?
Sì, ma non solo. Molti sono i cosiddetti “benestanti” coi genitori che hanno Sky, ma molti – e sono i più giovani – sono quelli che Sky neanche ce l’hanno e mi vedono su YouTube: arrivano di sponda. Poi c’è un pubblico comunque variegato, non sono solo i più giovani, intendiamoci.

Settimana scorsa da Bolaffi è stato venduto il primo statuto del Milan per oltre novantamila euro. La maglia di Gigi Riva nel campionato vinto col Cagliari è stata venduta a 15mila euro. Lei, da cultore e amante dello sport, cosa vorrebbe avere?
Bolaffi ha scelto me per fare il video sulla nascita del Milan, quindi sono di casa. Cos’altro vorrei avere non lo so, ma so cosa ho: una maglia di Maradona e una del mio calciatore preferito del Milan, Dejan Savicevic.

Dicono che fare della propria passione il proprio lavoro sia la più grande fortuna. Non le manca il basket?
Ora guardo le partite in modo diverso, non più analiticamente. Non le fermo mai, le lascio scorrere nella mia testa. Mi piace comunque moltissimo seguirlo. E no, non avrei mai pensato che avrei potuto fare altro nella mia vita ma è così: e per me è una grandissima conquista psicologica.

La più grande squadra di calcio che ha visto e quella che avrebbe voluto vedere.
Quella che avrei voluto vedere è l’Ungheria degli anni cinquanta o l’Uruguay degli anni trenta: poterle vedere sul campo, davvero, sarebbe un sogno. Quella che invece ho visto coi miei occhi è quel Milan degli anni ottanta e novanta.

Cosa la spaventa di più e cosa le piace di più dello stare sul palco?
La TV è il mezzo più freddo che esiste, è inutile negarlo. Qui sopra è tutto diverso, hai anche timore nel salirci. Ma ho anche l’entusiasmo del debuttante. A volte ho proprio come la mente vuota: alle 19 dico: “Ma io come faccio ad andare lassù?”. Poi, progressivamente, mi torna tutto in mente, salgo e tutto va liscio.